Oggi voglio raccontarvi come nasce un progetto fotografico, ma più nello specifico come è nato il progetto IO SONO. QUESTO FIORE.

Partiamo dalla prima parte del titolo IO SONO. Questo è un tema che ho trattato spesso nella mia vita, in varie forme ed aspetti e che tutt’ora tratto.

Mi affascina il mondo interiore di ognuno di noi.

Nella vita siamo portati a giudicare, ma in realtà noi non sappiamo niente dell’altro, non sappiamo come ha vissuto e cosa ha passato, non conosciamo le sue emozioni e il suo percorso, è una cosa talmente intima che mai potremo saperlo fino in fondo.

Elimino completamente il giudizio e lascio che l’altro si racconti a me.

Domande, mi pongo un sacco di domande, ed è proprio da qui che poi prendono vita i progetti fotografici.

Questo progetto è nato dall’esigenza di dare voce alla condizione della donna, vittima di violenza. Far vedere i visi ed i corpi di alcune donne segnati dal trascorso.
Un concetto di violenza generico, dal trauma di una malattia segnante al ripudio da parte dei genitori per le scelte di vita, dal tradimento all’abbandono, dalla violenza psicologica alle ferite in genere.

Ho cominciato così a stendere un’idea generale, dove vedevo un tot di donne nude, con le intimità coperte ed un fiore scelto da loro stesse. Un fiore in rappresentanza del loro io, del loro carattere e delle loro emozioni. Ho parlato con molte donne, non è affatto un argomento semplice da trattare, infatti ho impiegato quasi un anno per trovare chi si sentiva “pronta” a mettersi in gioco e ad apparire, si perché fin da subito ho spiegato che sarebbe stato un progetto fotografico da portare in mostra, per comunicare e per sensibilizzare. Il sentimento principale è stata la paura del giudizio del fruitore, ho deciso quindi di mettermi in gioco anche io, di partecipare a questo progetto con un’autoritratto.

Ricordo le lunghe chiacchierate con queste ragazze e donne, dove inizialmente spiegavo il progetto e perché lo spiegavo proprio a loro. Osservando la loro reazione capivo subito chi si sarebbe “prestata”, gli occhi si illuminavano di stupore e sorpresa.

Una volta completato il primo ciclo di colloqui è iniziata la seconda parte. Tra un ritratto e l’altro passava un mese. Immaginatevi di condividere i traumi, di riviverli assieme, di parlarne e di portarli in fotografia. Per chiudere un ciclo mi serviva quasi un mese, poiché in qualche modo assorbivo la sofferenza e dovevo elaborarla e scacciarla per essere pronta a ricominciare.

Ho ancora chiari in mente quei momenti. Un set allestito a casa mia, per essere tra le pareti confortevoli di una casa, il vino, l’amaro, il rhum, la birra, le parole, il fiore al centro del tavolo. Un telo nero e una luce continua e Spirit Bird di Xavier Rudd di sottofondo. Lei che timidamente si spoglia, la sento, io le do le spalle, le do il tempo di prepararsi, di posizionarsi al centro e di stringere il fiore tra le dita. Le chiedo di chiudere gli occhi e di respirare profondamente. Mi giro. Impugno la macchina fotografica. Due parole. Lei apre gli occhi e mi guarda. Click. Un istante. In quell’istante nella stanza c’è un’ energia incredibile, c’è la concessione, c’è il permesso ad entrare, c’è il permesso di catturare in fotografia quel momento. Ed è un regalo enorme per me.

Fine.

Ma la magia continua a compiersi, lei che poco fa era timida e si nascondeva, dopo questo istante abbandona le braccia lungo il corpo e sospira, e sorride con una lacrima che le scorre sulla guancia. Si muove nello spazio, leggera. Respira. Mi guarda. E soltanto allora si riveste. Non ci sono parole dopo, c’è solo il silenzio.

Quello che non mi aspettavo è il dopo, alcune di queste donne sono uscite dalla mia vita come vi erano entrate, all’improvviso. Di alcune di loro rimangono le parole di qualche tempo dopo, rimane il grazie.

Questa cosa mi ha cambiato la vita, non so come, ho messo tutto da parte e ho ricominciato da zero. Adesso so cos’è la felicità.

Credo che sia una cosa meravigliosa da sentirsi dire ma trovo meraviglioso che una donna abbia trovato la meritata felicità.

Ho portato in mostra questo progetto. Ancora me lo chiedono.

La prima volta, a Germignaga, è indimenticabile. Tra il pubblico alcune di loro, irriconoscibili quasi, perché cambiate. Le persone che silenziosamente si spostano da una fotografia all’altra. Domande, opinioni, giudizi e frasi imbarazzanti non sono mancate ma ne è valsa la pena, perché qualcuno è rimasto senza parole, perché qualcuno si è commosso, perché a qualcuno il messaggio è arrivato.


Siate gentili, sempre.